L’urgenza di una Fase 3, equa e solidale.

Gruppo di studio economisti-sociologi Rete La Fenice con Bonaviri

Mentre siamo in attesa di conoscere i provvedimenti del governo per la Fase 2, quella che dovrebbe riaprire le attività gradualmente e restituirci libertà di movimento, registriamo l’ intervista di Carlo Messina, amministratore delegato di Banca Intesa San Paolo sul Sole24Ore. L’Amministratore delegato della banca che punta ad essere la più grande del Paese invita il governo a rimettere in moto prima possibile l’economia reale. Nelle grandi città la crisi economica per la pandemia ha aumentato il numero dei cittadini considerati a rischio impoverimento: sono coloro che erano in condizioni precarie. Una inadeguata rimessa in moto del sistema produttivo potrebbe rischiare di fare diventare 10 milioni le persone che hanno bisogno di continua assistenza pubblica, situazione insostenibile sul piano economico, sociale e politico che conferma che la priorità dei prossimi mesi è evitare l’aggravarsi della crisi assicurando ai più esposti una vita dignitosa e sintonica.
Se nell’immediato è stato inevitabile un aumento del debito pubblico per far fronte all’emergenza sanitaria e al finanziamento delle imprese, questa scelta non può essere la soluzione poiché la capacità d’intervento dello Stato non è illimitata; bisognerà allora cogliere l’occasione per sciogliere nodi strutturali che da decenni ostacolano la crescita della Nazione. Anche se nel 2021 e negli anni seguenti si riuscisse ad avere un incremento del Pil fra l’1 ed il 2% questo non sarebbe sufficiente a recuperare i danni prodotti dalla crisi: le condizioni strutturali italiane da tempo non riescono, infatti, a produrre un Pil più elevato e l’andamento demografico non aiuta per il basso indice di natalità e l’elevato invecchiamento.
La Fase 3 batte alla porta prima di quanto si possa immaginare. Garantire liquidità per la sopravvivenza delle imprese non è sufficiente se una quota dei finanziamenti non sarà a fondo perduto e se i finanziamenti pur garantiti dallo Stato dovranno essere restituiti alle banche: per spingere gli imprenditori ad indebitarsi bisogna dare loro fiducia e creare le adeguate condizioni perchè se ne possano liberare.
La proposta che arriva da Banca Intesa si articola in cinque provvedimenti: la creazione di bond sociali, il rientro di capitali dall’estero, l’uso dei trattamenti di fine rapporto, il lancio di titoli pubblici per la valorizzazione del patrimonio dello Stato e degli enti locali, lo sblocco degli investimenti pubblici (150 miliardi) già contabilizzati che devono solo essere spesi.
L’insieme di queste misure dovrebbe poi essere finalizzata a ridurre l’enorme debito pubblico che registreremo alla fine del 2020: il rapporto fra il debito dello Stato ed il Prodotto interno lordo raggiungerà il 155,7% . Per quanto possano essere solidali i paesi dell’Unione europea non significa che siano disponibili a condividere il debito italiano e ciò non sarebbe giusto e dignitoso per gli stessi italiani. Il contenimento del debito diminuirebbe lo spread e consentirebbe di far ripartire la piccola e media impresa italiana, realtà che ha bisogno solo di essere ben orientate per dispiegare la riconosciuta capacità ad essere competitiva nel mercato interno ed internazionale,quindi non solo europeo.
Ciò è possibile perché diversamente da quanto si crede l’Italia non è un Paese povero: si è più ricchi dell’Olanda e della Germania con un capitale di 10 trilioni di euro (10 miliardi di miliardi) tra risorse delle imprese e risparmio degli italiani. Il problema, allora, riguarda solo un 4%, una ridottissima percentuale investita nei titoli pubblici che emette il governo per finanziare la spesa pubblica.

Il gruppo di studio della Rete La Fenice con Bonaviri composto da economisti e sociologi che ha attenzionato la proposta di finanza pubblico-privato riconosce che la bassa fiducia nello Stato investitore è da suddividere tra la scarsa conoscenza economica della media degli italiani e i gravi danni causati ai propri correntisti da alcuni istituiti bancari. Le attuali proposte di Banca Intesa non sono nuove al dibattito ventennale che anima la ricerca di soluzioni sulla bassa produttività del nostro sistema economico e il fatto che i tanti governi che si sono succeduti siano stati in grado di dargli seguito ci obbliga a porre un chiaro quesito: il presente governo sarà in grado finalmente di mettere fine allo scandalo di una elevata disoccupazione femminile e giovanile mentre prospera economia sommersa -190 mld di euro l’anno di produzione- ed evasione fiscale fra i 110 ed i 120 miliardi? Nasce qualche dubbio, ma vogliamo sperare in una risposta positiva.
Che la Fase 3 nasca, dunque, all’insegna della giustizia sociale, della parità dei diritti fondamentali, della equità nella crescita economica del Paese tale da diventare una priorità oltre che scelta di eccellenza.

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