Covid-19 . Il coraggio di prende decisione scomode: il personale sanitario è lasciato sempre più solo. Di chi sarà la responsabilità civile dei contagiati negli ospedali civili e nelle strutture sanitarie private o convenzionate?

Giuseppina Bonaviri
Medico Psichiatra, PhD Neuroscienze sperimentali e cliniche, Brand Owner Area Vasta Smart.
Delagata nazionale Pd

I dati OCSE aggiornati al luglio 2019 dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media sia per spesa sanitaria che pubblica. In dieci anni sono stati tagliati 37 miliardi alla sanità pubblica, persi 70 mila posti letto e chiusi 359 reparti, bloccate assunzioni e concorsi. Un taglio che si traduce in un declassamento dei servizi sanitari pubblici e nel completo abbandono della classe medica e paramedica come delle strutture sanitarie. Oggi che il coronavirus sta decimando intere regioni e paesi ci si ricorda di noi, i medici e ci chiamo all’appello. Ci chiedono prestazioni e lavoro a cottimo contro ogni regola di salvaguardia e di tutela personale e soprattutto sociale in un momento in cui task force e uomini di governo continuano a far traballare decisioni, dai decreti ai criteri con cui e dove adottarli.
Noi, i curatori, oggi siamo diventati anche i maggiori potenziali diffusori di virus e la maggiore categoria a rischio trasmissione. Non è un caso se di tutti i contagiati da Covid-19 circa il 10% siano medici e operatori sanitari, mandati in questi mesi in avanscoperta senza alcuna garanzia, senza alcuna protezione preventiva, senza che alcuno avesse stabilito nei tempi giusti misure urgenti sul contrasto. Condizione dipesa dalla miopia politica che non è stata in grado di creare le migliori condizioni per un approccio adeguato e sistemico alla salute dei territori e dei cittadini, alla sanità pubblica e alle patologie complesse trattate in regime di ricovero ospedaliero. Una subcultura determinata dalla incapacità di visione prospettica e mirata, rispettosa della specie umana. Ma è inutile negarlo: il Parlamento,i consigli regionali come quelli comunali sono pieni di ignavi ed indolenti votati da chi ora ha, invece, fottutamente bisogno di queste eccellenze da mettere in campo, quelle teste pensanti che in tempi di vacche grasse erano state dimenticate tra un laboratorio di ricerca buio e un sottoscala ospedaliero laido.

E noi, i medici, che non siamo una entità mistica ma quelli del giuramento di Ippocrate, i missionari e i luminari mai ci tireremmo indietro perché amiamo il mondo senza riserve. Insomma tra un lento lancio dei tamponi con laboratori intasati, mascherine irreperibili, reparti emergenziali sovraccarichi e privi di respiratori e strumentistica i pazienti e i medici continuano a morire nelle corsie degli ospedali di provincia. Chi se ne assume la sensatezza? Chi decide nei nostri territori, tra team della Regione Lazio, direzioni strategiche delle AASSLL e privati accreditati, tra conferenze dei sindaci e prefetture?

E pensare che le soluzioni alternative esistono e non sono certo quelle di svuotare interi reparti di medicina di base, come avviene purtroppo ormai in provincia frusinate, per allestire altrettanti letti in corridoi sovraffollati e per poter quindi ricoverare random(?) pazienti positivi. Questo anche contro i suggerimenti delle attuali linee guida che suggeriscono di monitorare il più possibile i pazienti direttamente a casa e sul territorio proprio per evitare contatti e contagio con la popolazione dei già degenti fragili e cronici e con gli stessi operatori sanitari ulteriore fonte di contaminazione. Altra cosa sono, ovviamente, i reparti emergenziali ed intensivi attrezzati e fondamentali ora al trattamento dei sintomi gravi.
I pazienti positivi si distinguono per fasce e per categorie a rischio, non sono tutti uguali: asintomatici, lievi sintomatici, pazienti con sintomi precoci, sintomatologia grave respiratoria ed altro, tracciature queste definite dai protocolli del’OMS e dalle indagini epidemiologiche in corso dell’ISS.
Ad oggi sono 20 mila i tamponi giornalieri usati, di cui solo 133 mila usati in Lombardia. Tamponi che andrebbero effettuati inizialmente a tutti coloro ritenuti a rischio di prima fascia come la classe medica e sanitaria. Ci chiediamo se in provincia di Frosinone si sia effettuata questa tracciabilità, fondamentale per ridurre i contagi e prevenire il peggiorare del circuito sintomatologico nella nostra città.

Per fermare la diffusione del virus Sars-Cov2 e per affrontare autorevolmente questa crisi di salute pubblica molte sono le buone prassi sperimentate sulle quali dovrebbero confrontarsi i governatori delle città della provincia frusinate; valuteremmo così se gli stessi si possano ritenere professionisti del bene pubblico o semplicemente dilettanti allo sbaraglio.
Esistono, per fare degli esempi: Ospedali da campo (come è avvenuto nella città di Crema montati in due giorno dal nostro Esercito), LabCorp e Quest Diagnostics usati negli Stati Uniti, “Drive in” preventivi, App della salute e sistemi di tracciatura, telesoccorso e telemedicina per monitorare e valutare, creando banche dati disponibili agli studi futuri. L’OMS sta lavorando con una rete internazionale di statistici e matematici per stimare i parametri epidemiologici chiave del COVID-19, quali il periodo di incubazione (tempo intercorrente tra il contagio e l’insorgenza dei sintomi), il tasso di mortalità (percentuale di casi che muoiono) e l’intervallo seriale (il tempo di insorgenza dei sintomi di un caso primario e secondario). Di fatto rimane che nessuna evidenza scientifica preferisca i ricoveri indiscriminati all’isolamento e alle quarantene a casa o in ambienti asettici di nuova generazione.

Ai decisori locali si chiede calorosamente di prestare attenzione ai suggerimenti tecnico scientifici che parlano chiaro e di non girare la testa da un’altra parte derogando per intero i compiti alla comunità medica e scientifica. Di chi sarà la responsabilità dei contagiati negli ospedali civili e nelle strutture sanitari private o convenzionate?

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