Tutto il Sud soffre. Chiudono fabbriche importanti e a Cassino tremano dopo l’accordo Fca-Psa
Tutto il Sud soffre. Chiudono fabbriche importanti e a Cassino tremano dopo l’accordo Fca-Psa
La decrescita produttiva al Sud è cosa certa ed evidente, ora più che mai, e non solo per Arcelor Mittal che ha dichiarato di volere lasciare l’Ilva di Taranto aprendo una grave crisi occupazionale per gli oltre 10.000 lavoratori impiegati nell’indotto. Come si è arrivati a questa gravissima situazione -che compromette l’economia locale e l’intera industria metalmeccanica italiana-deriverebbe dal fatto di non aver voluto esentare il colosso indiano dalle verosimili conseguenze penali che aveva ereditato dalla precedente gestione oltre le novità emergenti in queste ultime ore. La garanzia che Arcelor Mittal non dovesse pagare per ciò che non aveva commesso -il danno ambientale- sembrava scritto negli accordi con il governo italiano in carica all’epoca, accordi che andavano rispettati se solo si fosse pensato alla credibilità internazionale dell’Italia.
Ma ci deve essere molta confusione al Ministero preposto allo Sviluppo economico se a distanza di pochi giorni un’altra impresa multinazionale del Sud, la Whirlpool con uno stabilimento nella provincia di Napoli, prima decide di chiudere l’impianto mandando a casa 400 lavoratori e poi ritorna sui suoi passi senza che questo significhi però la ripresa dell’attività. Questa strana situazione non può tranquillizzare, tra l’altro, i lavoratori della Fca di Cassino dove è stato già deciso di interrompere la produzione dei due modelli Giulia e Stelvio dell’Alfa Romeo.
Basterebbero da sole queste vicende per far emerge quanto sia stata sottovalutata la gravità della condizione in cui vivono i cittadini del Mezzogiorno italiano. Non si può pensare di continuare a far pagare pegno ai lavoratori e a penalizzare solo alcune aree del Paese soprattutto quando è evidente che quelli che abitano nel Sud Italia- l’ultimo rapporto Svimez parla chiaro- sono considerati molto diversi da chi, invece, vive al Nord sia per reddito che per opportunità di lavoro. Gli indicatori economici ci dicono che nel 2019 il Sud è entrato in recessione e poco ha potuto il reddito di cittadinanza perché ha avuto un impatto quasi nullo sul lavoro. Inoltre, il continuo esodo verso il Nord italiano ed europeo conferma che dall’inizio del 2000 hanno lasciato il Sud 2 milioni di meridionali, la metà di questi con meno di 34 anni mentre nello stesso periodo si sono persi, proprio nel Mezzogiorno, ben 27 mila posti di lavoro con un rigurgito di 35 euro pro capite in meno per cittadino.
Spreco, malintesi, corruzione diffusa, gogne mediatiche, criminalità organizzata, garantismo dei più forti, tatticismi e populismi fanno da cornice ad un’Italia spaccata in due, in blocchi contrapposti e senza una seria opportunità di rinascita, con una sofferenza acutissima in chiave demografica. Nel 2018 si è raggiunto il minimo storico delle nascite sottolineando che al Sud sono nati circa 157 mila bambini, 6 mila in meno del 2017.
Fabbisogno sociale e politiche contro il gap territoriale richiedono maggiori fondi: a questo si può rispondere con le autonomie regionali differenziate se non ci fosse il rischio che questo processo rappresentasse la conferma degli squilibri dei trasferimenti da parte dello Stato come invece è apparso. Una situazione paradossale ed iniqua che determina la possibilità di maggiore welfare a chi più ha.
Il Governo ha promesso il varo del Piano per il Sud entro fine anno, e tutte e tutti lo stiamo aspettando. C’è da sperare che far ripartire il Sud significhi davvero far riparte da subito l’Italia.
Giuseppina Bonaviri